Sindrome di Wolff-Parkinson-White o WPW

La sindrome di Wolff-Parkinson-White è una patologia congenita che implica un’anomalia nella conduzione elettrica all’interno del cuore.
Si tratta di una patologia che può restare silente anche per lungo tempo e colpisce frequentemente le persone giovani e con un cuore sano: spesso emerge soltanto durante visite mediche sportive o altri esami di routine.

La sindrome di Wolff-Parkinson-White è una patologia cardiaca che deve il suo nome a Louis Wolff, John Parkinson e Paul Dudley White: furono questi cardiologi i primi a descrivere diffusamente la patologia nel 1930, riferendo di 11 soggetti giovani e sani in cui l’elettrocardiogramma aveva messo in luce alcune caratteristiche comuni.

Com’è noto, il cuore si muove in autonomia, senza la necessità di impulsi volontari: è il miocardio infatti a generare gli impulsi elettrici necessari, grazie alla presenza dei miocardiociti. Il battito cardiaco contribuisce poi a far circolare correttamente il sangue nell’organismo. All’interno del cuore sono presenti 4 camere: atrio destro (a cui giunge il sangue venoso), ventricolo destro (che lo manda verso i polmoni), atrio sinistro (a cui giunge il sangue ossigenato dai polmoni), ventricolo sinistro (che invia il sangue a tutti i tessuti e gli organi).

Alla base del cuore troviamo la rete di fibre nervose nota come plesso cardiaco, a cui è connesso il nervo vago: questo innerva il nodo atrioventricolare e nodo seno-atriale, dal quale le cellule pacemaker mandano segnali elettrici al muscolo cardiaco. Tale processo determina contrazione (sistole) e rilassamento (diastole) del ritmo cardiaco, la cui frequenza ottimale è compresa fra 60 e 100 battiti per minuto.
 
La sindrome di Wolff-Parkinson-White implica la presenza di un percorso accessorio fra atri e ventricoli, detto fascio di Kent. Si instaura così un meccanismo di collegamento in eccesso, in cui il regolare sistema di conduzione viene aggirato: dal nodo seno-atriale l’impulso elettrico si dissolve sulla parete degli atri e, prima che esso raggiunga il nodo atrioventricolare, la via accessoria intercetta alcuni segnali elettrici.

Ciò fa sì che il ventricolo si contragga alcuni millisecondi prima del tempo (pre-eccitazione ventricolare). La presenza di una via accessoria comporta anche una maggiore probabilità di sviluppare aritmie, ovvero alterazioni del ritmo cardiaco. Anche se il cuore risulta spesso sano, può però essere caratterizzato da altre alterazioni strutturali.

Fra queste, quella che più frequentemente si associa alla sindrome WPW è la malformazione di Ebstein: questa rara cardiopatia congenita comporta una dislocazione della valvola tricuspide, che si trova più in basso del normale (ovvero tra atrio destro e ventricolo destro). Ciò si traduce in un malfunzionamento della valvola, che non si chiude come dovrebbe, e del ventricolo destro stesso.

Origine e cause della sindrome di Wolff-Parkinson-White

La sindrome di WPW è una patologia congenita, dunque presente nel paziente fin dal momento della sua nascita, poiché la via accessoria si sviluppa durante la gestazione. Ma non c’è certezza sulle cause all’origine di tale sviluppo. Non è facile inoltre calcolare la prevalenza della sindrome di Wolff-Parkinson-White, in quanto è altamente probabile che diverse persone ne siano affette in modo asintomatico.

Nel mondo, essa è stata diagnosticata a una media di 1-3 persone su 1.000. Si ipotizza che l’incidenza dei soggetti con WPW che si traduce in aritmia vari da 1% a 2% all’anno, con una particolare frequenza negli uomini e nella fascia d’età 20-24 anni.

Dal momento che si tratta di una patologia congenita, la domanda più comune che un paziente si pone è questa: la sindrome di Wolff-Parkinson-White è ereditaria? In realtà non c’è una risposta precisa. I dati ci dicono che esiste effettivamente una forma di sindrome di Wolff-Parkinson-White ereditaria, in modalità autosomica dominante: nei parenti di primo grado del paziente è stata infatti osservata una prevalenza del 3,4%. È proprio in questi casi che è più frequente l’associazione della patologia con anomalie strutturali del cuore.

Molti soggetti non lamentano segnali particolari: questo la rende una patologia particolarmente subdola da diagnosticare. In ogni caso, il campanello d’allarme per eccellenza è il battito cardiaco accelerato: si tratta di tachicardia parossistica sopraventricolare, che ha origine proprio a livello degli atri. Questo sintomo si manifesta in modalità non prevedibili, tanto che alcune persone ne soffrono solo alcune volte durante un intero anno e altre possono subire episodi di tachicardia anche più volte al giorno.

Può avere una durata variabile da pochissimi secondi fino ad alcune ore, ma l’aumento della frequenza cardiaca è rapidissimo e può arrivare fino a 200 battiti al minuto. La sindrome di Wolff-Parkinson-White può dare sintomi associati alla tachicardia, come per esempio:
 
  • Palpitazioni;
  • Vertigini;
  • Sudorazione;
  • Dolore al petto;
  • Fiato corto;
  • Attività fisica difficoltosa;
  • Svenimento.

Il tutto accompagnato spesso da una sensazione di ansia dovuta all’accelerazione del ritmo cardiaco. Questa sintomatologia aggiuntiva, che non sempre si presenta, è più frequente nei soggetti più anziani.
Se la tachicardia si manifesta in soggetti adolescenti oppure in adulti di giovane età, non è raro che abbia inizio durante l’esercizio fisico.

Non è da sottovalutare l’età pediatrica: anche i pazienti più piccoli possono soffrire di questo disturbo. In questo caso, la sindrome di Wolff-Parkinson-White può dare sintomi di altra natura, come sonnolenza, inappetenza, affanno, cianosi (colorazione bluastra della pelle), pulsazioni visibili sul torace, fino a insufficienza cardiaca nei casi più gravi.

È necessario fare attenzione anche a possibili fattori scatenanti, che possono facilitare il manifestarsi dei sintomi. In particolare, praticare un’attività fisica molto intensa oppure consumare caffeina o bevande alcoliche. Se la tachicardia non si esaurisce in alcuni minuti, se dopo lo svenimento la persona non riprende conoscenza è indispensabile l’intervento del Pronto Soccorso. Se invece la tachicardia si presenta solo in modo accidentale, si consiglia di rivolgersi al proprio medico per un approfondimento.

La tachicardia parossistica sopraventricolare può essere causata da diversi fattori, alcuni dei quali non legati in alcun modo a patologie: stati d’ansia, emozioni molto forti, attività fisica, mestruazioni e gravidanza. Ecco perché, oltre alla compresenza di altri segnali, bisogna considerare necessariamente i risultati di test diagnostici.

Dal momento che è coinvolta l’attività elettrica del cuore, la sindrome di Wolff-Parkinson-White si diagnostica con ECG. L’elettrocardiogramma consente infatti di registrare il ritmo cardiaco e l’attività elettrica generata dal battito. Nel tracciato dell’ECG, la WPW si evidenzia grazie a un segno ben preciso rilevato dallo specialista: si tratta dell’onda delta, generata dalla pre-eccitazione ventricolare.

Vi sono però anche forme di WPW che con ECG standard non risultano evidenti, ma di cui i pazienti lamentano la sintomatologia. Si rivela quindi utile l’utilizzo di altri esami diagnostici per approfondire la situazione, come il test da sforzo o un Holter cardiaco delle 24 ore, così da registrare l’attività elettrica del cuore nell’arco di un’intera giornata ed evidenziare eventuali episodi di tachicardia.

In alcuni casi, si ricorre anche a un esame elettrofisiologico endocavitario, con l’obiettivo di confermare la presenza di una via accessoria e allo stesso tempo verificare il livello di rischio di indurre aritmie sopraventricolari o aritmie più minacciose che comportano un aumentato rischio di morte improvvisa. Un sondino viene introdotto attraverso una vena dell’inguine, fino al cuore: esso viene stimolato con impulsi elettrici fino all’induzione della tachicardia. Al contempo, l’attività del cuore viene registrata: se da tracciato l’onda delta scompare all’aumento della frequenza cardiaca, il rischio di morte improvvisa risulta basso.

L’esame si esegue in regime di ricovero e con anestesia locale, con l’assistenza continua dell’équipe pronta a intervenire nell’immediato nel caso in cui la tachicardia risulti poco tollerabile. Nelle ore successive, il paziente deve restare a letto. In questo lasso di tempo, il suo ritmo cardiaco viene rigorosamente tenuto sotto controllo.

Proprio perché la sindrome WPW può essere occulta, come del resto altre patologie cardiache, è fondamentale il ruolo della prevenzione: sottoporsi a regolari test di screening è il primo passo per individuare e affrontare eventuali problematiche.

In genere, la sindrome WPW non pone rischi particolari per la salute del paziente, a meno che la patologia non sia associata alla fibrillazione atriale. Questa aritmia, che implica un battito cardiaco molto veloce e irregolare, impedisce agli atri di contrarsi adeguatamente, impattando sulla funzionalità dei ventricoli e di conseguenza sulla circolazione sanguigna. Un disturbo potenzialmente pericoloso, se non viene diagnosticato e trattato.

In una persona con WPW la fibrillazione atriale può essere nei casi estremi causa di morte improvvisa, in quanto gli impulsi veloci possono passare verso i ventricoli attraverso la via accessoria con una frequenza molto più rapida dello standard. In ogni caso, anche in assenza di fibrillazione atriale, è piuttosto naturale temere per il proprio cuore con una diagnosi di sindrome di Wolff-Parkinson-White: del resto, si tratta di un organo imprescindibile per le funzioni vitali.
 
 
Una volta che è stata accertata la presenza della sindrome di Wolff-Parkinson-White, cosa si può fare? Ecco le opzioni fra cui lo specialista può scegliere, in ordine crescente di proattività in base al numero e all’intensità degli episodi:
 
  • Manovre di stimolazione del nervo vago da eseguire il prima possibile all’inizio dell’episodio, con l’obiettivo di ridurre la frequenza cardiaca. Per esempio, la manovra di Valsalva prevede un’inspirazione profonda seguita dall’espirazione forzata a glottide chiusa, per una durata di circa 10 secondi: si stimola così l’attivazione del sistema parasimpatico. Seppur semplice, la manovra dev’essere portata a termine nel modo giusto, per non incorrere nel rischio di svenimento. Una volta debitamente istruito dal personale sanitario, il paziente può eseguirla in autonomia.
 
  • Somministrazione di farmaci. In caso le manovre vagali non ottengano l’effetto sperato, si può trattare la sindrome di Wolff-Parkinson-White con una terapia farmacologica all’interno dell’ospedale. Si somministrano farmaci che bloccano la conduzione elettrica attraverso il nodo atrioventricolare, in particolare adenosina, determinando l’arresto dell’aritmia. Se però il paziente soffre di fibrillazione atriale condotta rapidamente per la via accessoria, tali farmaci non devono essere assunti: possono infatti agevolare l’aumento della frequenza di conduzione ai ventricoli e di conseguenza lo sviluppo di fibrillazione ventricolare. Una nota a parte merita la digossina, che può provocare esattamente il medesimo effetto. Ma nei bambini al di sotto dei 10 anni d’età la digossina può aiutare a bloccare gli episodi di tachicardia.
 
  • Cardioversione elettrica, spesso la procedura d’elezione. Grazie all’aiuto di un defibrillatore, si procede a far ripartire da zero la conduzione elettrica cardiaca: la frequenza cardiaca torna così a essere regolare.
 
  • Ablazione. Con la WPW, si tratta della soluzione decisiva, soprattutto se si verificano episodi molto frequenti di tachicardia e se il paziente è un soggetto giovane che altrimenti dovrebbe probabilmente assumere farmaci per il resto della vita. Con questo intervento mini-invasivo si distrugge parzialmente la via accessoria: grazie a un catetere inserito nel cuore, il calore generato agisce in modo mirato sul condotto anomalo. L’operazione dura circa un’ora e viene eseguita in anestesia locale. La percentuale di successo supera il 95%.

Naturalmente, il paziente può anche agire preventivamente in modo da ridurre il più possibile l’insorgere della tachicardia. Prima di tutto, è bene evitare i fattori scatenanti, come l’esercizio fisico molto intenso o l’assunzione di alcolici. Anche la terapia farmacologica per la Wolff-Parkinson-White può proseguire per diverso tempo, sempre con l’obiettivo di prevenire altri episodi.

In ogni caso, come si è accennato, con la sindrome di Wolff-Parkinson-White alcuni farmaci risultano da evitare se la patologia è accompagnata da fibrillazione atriale: in particolare, beta-bloccanti, digossina, verapamil e diltiazem. L’adenosina dev’essere invece utilizzata con molta attenzione, in quanto, seppur di rado, può generare una fibrillazione atriale molto rapida.

La sindrome di Wolff-Parkinson-White presenta quindi tutta una serie di complessità che rendono essenziale il supporto e l’intervento di specialisti di elevata competenza. Presso le strutture GVM Care & Research e in particolare le Unità di Aritmologia ed Elettrofisiologia il paziente può trovare il sostegno di cui ha bisogno, grazie anche alla presenza di tecnologie avanzate e di un approccio a 360 gradi.
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