Spondilosi

La spondilosi è qualsiasi forma di artrosi generalizzata della colonna vertebrale. È una patologia degenerativa e spesso dolorosa.

Il corpo umano è dotato di una vera e propria struttura di sostegno: la colonna vertebrale, che può essere colpita da patologie anche molto dolorose. Con il termine “spondilosi” si indica qualsiasi forma di artrosi generalizzata localizzata nella colonna vertebrale. La spondilosi è degenerativa: ciò significa che peggiora gradualmente nel corso del tempo.

Cos’è la spondilosi e come si sviluppa

Ma cosa significa “spondilosi”? Si tratta di una parola derivante, come molte altre del lessico medico, dalla lingua greca: spondy̆lus indica la vertebra. La patologia interessa infatti gli elementi fondamentali che fanno parte del rachide: vertebre, dischi intervertebrali, tessuti perivertebrali adiacenti.

Basilare per lo sviluppo della spondilosi è la degenerazione dei dischi intervertebrali, che separano le vertebre. Ogni disco è composto da un nucleo interno e da un anello fibroso (anulus) all’esterno. Il nucleo polposo, dalla tipica consistenza gelatinosa, è costituito d’acqua per il 90% circa: tale elasticità consente al disco di ammortizzare il carico dato dai movimenti della colonna vertebrale, che risulta così flessibile. Quando però il nucleo si disidrata, processo sempre più naturale con il trascorrere degli anni, esso si assottiglia, perdendo progressivamente la propria funzionalità.

Altrettanto determinante per l’insorgere della patologia è la degenerazione della cartilagine nelle articolazioni vertebrali. Anche questo tessuto elastico ma molto saldo ha un ruolo importante: ridurre l’attrito fra le ossa e riassorbire l’energia data dai movimenti. Come il nucleo del disco intervertebrale, anche la cartilagine si disidrata gradualmente e si irrigidisce.

In queste condizioni, la colonna vertebrale risulta meno resistente a tutte le sollecitazioni e prendono il via tutta una serie di dinamiche: si formano calcificazioni dei legamenti e osteofiti, cambia la consistenza dei tessuti molli (sclerosi), le vertebre si avvicinano, una vertebra può scivolare in avanti rispetto a quella sottostante (spondilolistesi), mentre nelle situazioni più serie si ha una stenosi del canale vertebrale, che provoca una compressione del midollo e delle radici nervose.

La degenerazione dei dischi intervertebrali è dovuta al passare del tempo. Ecco perché il primo fattore in assoluto da tenere in considerazione è il naturale avanzare dell’età. Non è però l’unico elemento che può favorire l’insorgere della spondilosi, che può essere agevolato da:
 
  • Predisposizione familiare
  • Anomalie congenite nella colonna vertebrale
  • Lavoro particolarmente pesante o che richiede il mantenimento di una posizione forzata
  • Pratica di sport che impattano sulle articolazioni (come ad esempio il calcio e il rugby)
  • Traumi acuti (lesioni o fratture da incidente) oppure ripetuti nel corso del tempo
  • Problematiche posturali e sviluppo di cifosi, lordosi, scoliosi
  • Obesità e sovrappeso, che caricano ulteriormente le articolazioni
  • Vita sedentaria, con conseguente indebolimento dei muscoli di addome e schiena
  • Patologie della circolazione (emofilia)
  • Forme di artrite (artrite reumatoide, gotta)
  • Interventi chirurgici alla colonna vertebrale

Altro fattore di rischio è la spondilite anchilosante, patologia infiammatoria che interessa le articolazioni. Vale la pena ricordare dunque che spondilite e spondilosi non sono sinonimi: se la prima fa parte delle patologie reumatiche ed è un’infiammazione acuta che può anche colpire altre articolazioni, la seconda è una patologia degenerativa.

È quindi possibile concludere che l’insorgere della spondilosi sia causato da più fattori compresenti. Essa colpisce sia uomini che donne in questi termini: dopo i 50 anni è presente nel 50% dei soggetti di sesso maschile, mentre nelle donne con più di 60 anni la percentuale raggiunge il 90%, favorita dall’abbassamento dei livelli di estrogeni dopo la menopausa.

Si identificano vari tipi di spondilosi in base alla localizzazione del disturbo.

Spondilosi cervicale

Colpisce le articolazioni delle vertebre e i dischi intervertebrali nella zona cervicale, in corrispondenza del collo. La spondilosi cervicale provoca sintomi caratteristici, che consentono anche di classificarla in tipi:
  • Quando è di tipo I, le radici nervose vengono compresse, il collo risulta rigido e dolorante e, in base ai nervi coinvolti, un arto superiore può indebolirsi 
  • Quando è di tipo II, è invece il midollo spinale a essere compresso, con conseguente manifestazione di dolore, pesantezza degli arti, difficoltà nel muovere bene le mani, alterazione della sensibilità 
  • Quando è di tipo III, la spondilosi cervicale si manifesta con un dolore intermittente di entità non elevata, che coinvolge solo la zona cervicale stessa o eventualmente si irradia al capo.
 

Spondilosi lombare

La spondilosi lombare interessa la parte più bassa della schiena, i cui segnali caratteristici coinvolgono quella specifica zona, ma nei casi più gravi (ad esempio in presenza di serie alterazioni spondilosiche lombari) possono interessare anche altre parti dell’organismo. La spondilosi lombare dà sintomi che tendono ad aggravarsi mentre si cammina o si sta in posizione eretta:
  • mal di schiena
  • rigidità 
  • sciatalgia
  • spasmi muscolari
  • difficoltà nel movimento e alterazione nella sensibilità degli arti inferiori
  • sensazione di “scossa elettrica” nella parte inferiore della schiena
  • leggera incontinenza urinaria o fecale.
 

Spondilosi dorsale

Detta anche toracica, raramente la spondilosi dorsale provoca sintomi: ciò significa che spesso viene individuata grazie a esami effettuati per altri motivi. In alcuni casi, può coesistere con la forma lombare (spondilosi dorso-lombare).
 

Spondilosi diffusa

Detta anche spondilosi completa, questa tipologia comporta la diffusione del disturbo lungo tutta la colonna vertebrale. Anche la spondilosi diffusa provoca sintomi come dolore intermittente (più accentuato nelle prime ore del giorno) e rigidità generalizzata.

I primi segni di spondilosi possono essere individuati grazie agli esami diagnostici già a partire dai 30 o 40 anni d’età: spesso è infatti impossibile vedere alterazioni spondilosiche evidenti senza eseguire esami strumentali. In seguito, la gravità delle manifestazioni spondilosiche varia in base alla situazione.

Il primo tipico segnale è il mal di schiena, inizialmente lieve o moderato, variabile durante il giorno, più intenso durante uno sforzo o un’attività fisica particolare. In seguito, il dolore può essere diffuso, specialmente in posizione eretta, e irradiarsi a collo, capo, glutei e gambe, o ancora presentarsi improvvisamente e impattare negativamente sull’attività professionale o sportiva.

La variabilità del dolore dipende dal grado di danno delle strutture: è tollerabile se le vertebre sono semplicemente più vicine o se si sono calcificati i legamenti, mentre diventa molto intenso in un punto preciso in caso di spondilolistesi.

La spondilosi può dare anche sintomi come:
 
  • Irrigidimento della colonna vertebrale, soprattutto al mattino
  • Difficoltà di torsione e piegamento del tronco
  • Debolezza dei muscoli
  • Parestesie, ossia formicolio e variazione di sensibilità ad arti, mani e piedi
  • Cefalea
  • Debolezza generale e malessere
  • Nausea e vomito
  • Vertigini
  • Sensazione di perdere l’equilibrio

In ogni caso, per individuare e analizzare i segni spondilosici clinici è indispensabile una visita specialistica.

Durante la visita, lo specialista raccoglie tutte le informazioni essenziali riguardanti i sintomi, le tempistiche e le modalità con cui sono comparsi, la storia clinica del paziente, eventuali familiarità e presenza di patologie sistemiche, possibili vizi posturali, la sua attività professionale e le sue abitudini.

Particolare attenzione viene riservata durante l’esame obiettivo al dolore e a come si manifesta: il momento in cui si presenta, le dinamiche scatenanti o allevianti, la sua intensità e regolarità, ecc.
Una volta che il medico ha ipotizzato una sospetta spondilosi, può richiedere uno o più dei seguenti esami diagnostici:
 
  • Radiografia della colonna vertebrale. Si esegue con il paziente in posizione eretta oppure in condizione di carico, per esaminare le articolazioni, valutare i danni e rilevare la possibile presenza di osteofiti.
  • Tomografia computerizzata, che consente di analizzare il possibile danno ai capi ossei delle articolazioni e individuare possibili calcificazioni.
  • Risonanza magnetica, che permette di ottenere immagini ad alta risoluzione dei tessuti molli (nucleo del disco intervertebrale, cartilagini, legamenti, ecc.).
  • Scintigrafia ossea, esame radiologico che permette di visualizzare un’eventuale infiammazione di ossa e articolazioni.

Sempre consigliati sono gli esami del sangue, soprattutto con l’obiettivo di escludere la presenza di altre patologie.

Con la spondilosi non è possibile una guarigione vera e propria: proprio perché si tratta di una patologia degenerativa, il processo non può essere fatto regredire. È però possibile prevenirne il peggioramento, ricorrendo all’educazione posturale e riducendo le sollecitazioni a cui viene sottoposta la colonna vertebrale, e tenere sotto controllo i sintomi accrescendo così il livello di qualità della vita, che può essere notevolmente diminuito da eventuali sintomi invalidanti.

Una volta che lo specialista ha ben chiari la situazione, lo stile di vita del paziente e le sue esigenze, può pianificare un programma di trattamento personalizzato, che prevede tutte le pratiche necessarie al raggiungimento del più alto grado di benessere.

Sempre esclusivamente su consiglio del medico, il trattamento per la spondilosi può essere:

Trattamento conservativo e preventivo

Ciò può includere diverse strade, fra cui:
  • Periodo di assoluto riposo nelle fasi acute 
  • Massaggi eseguiti da specialisti, con l’obiettivo di portare flusso di sangue e quindi calore nella zona interessata, nonché rafforzare i muscoli
  • Attività fisica, come ad esempio la ginnastica funzionale aerobica, ma anche sport come il nuoto, a vantaggio della salute del cuore, della riduzione del dolore, del benessere psichico e del peso corporeo
  • Combinazione di caldo e freddo, oppure la sola applicazione del calore, in base alla necessità di far aumentare il flusso sanguigno o agire sull’infiammazione
  • TENS, ossia la terapia che permette di ridurre la sensazione dolorosa attraverso l’elettrostimolazione transcutanea, che stimola le terminazioni nervose e quindi influisce sulla trasmissione del dolore al cervello 
  • Agopuntura, sempre praticata da un medico specializzato, che in alcuni pazienti sembra portare benefici in termini di riduzione del dolore
  • Rigoroso controllo del peso corporeo, per aiutare le articolazioni a non sopportare un carico eccessivo e non subire ulteriori compromissioni, nonché per agevolare la mobilità e ridurre il rischio che si sviluppino altre patologie
  • Dieta bilanciata, che comprende il consumo di cereali integrali, verdura, legumi e frutta
  • Idratazione costante, per supportare al meglio l’organismo nella sua interezza e in particolare il liquido sinoviale, il fluido articolare che protegge le articolazioni fungendo da lubrificante naturale.
 

Trattamento farmacologico, specialmente nelle fasi acute

Il medico si basa sulla gravità della sintomatologia dolorosa e sul grado di tolleranza del paziente. I farmaci più utilizzati sono i FANS, antinfiammatori e analgesici: paracetamolo, ibuprofene, diclofenac, ketoprofene sale di lisina, ketoralac, naprossene. In contemporanea, possono anche essere prescritti miorilassanti, per dare sollievo dal dolore muscolare. Solo nei casi più seri si prescrivono corticosteroidi, somministrati tramite infiltrazione non più di quattro volte all’anno.
 

Intervento chirurgico

Solo ed esclusivamente nei pazienti con spondilosi grave, compressione del midollo spinale e alterazioni spondilosiche che non consentono altra soluzione. Tutte le procedure prevedono un’anestesia generale. Il chirurgo può optare per:

  • Laminectomia, che consente di asportare la lamina vertebrale (la parte posteriore della vertebra), per liberare il canale vertebrale e decomprimere le radici nervose 
  • Microdiscectomia, procedura mininvasiva utilizzata soprattutto in caso di ernia del disco, che comporta la pratica di un’incisione nella zona interessata, l’asportazione dell’ernia e la decompressione delle radici nervose
  • Artrodesi vertebrale, che implica la fusione di due o più vertebre.È eseguibile per via anteriore (l’incisione viene effettuata sul lato del torace) o per via posteriore (l’incisione è praticata sulla schiena). La colonna vertebrale viene in questo caso stabilizzata attraverso l’inserimento di impianti o innesti ossei.


Relativamente a quest’ultima procedura, si rende molto efficace nel trattamento di gravi sofferenze del disco intervertebrale la tecnica ALIF (Anterior Lumbar Interbody Fusion): il chirurgo esegue un’incisione anteriore dell’addome, avanza per via retroperitoneale, rimuove il disco, pulisce le vertebre e inserisce la gabbia.

Nel caso della spondilosi cervicale, la terapia può anche prevedere l’utilizzo di un collare morbido per sostenere e allo stesso tempo scaldare il collo, mentre i rimedi per la spondilosi lombare possono includere l’applicazione di bustini e fasce contenitive.

Se la colonna vertebrale è il perno del nostro corpo, le patologie che la colpiscono devono essere diagnosticate, curate e seguite presso strutture specializzate. Gli ospedali GVM Care & Research danno al paziente la possibilità di affidarsi a specialisti nel campo, ma non solo: un approccio multidisciplinare è alla base di tutte le attività di queste strutture, accompagnato da uno sguardo ad ampio raggio sulle esigenze del paziente. L’esperienza e la competenza del personale, unite alla disponibilità degli strumenti tecnologici più all’avanguardia, sono gli elementi fondamentali di un percorso personalizzato.
Le informazioni contenute nel Sito, seppur validate dai nostri medici, non intendono sostituire il rapporto diretto medico-paziente o la visita specialistica.

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