L’adolescenza è il momento in cui si verifica uno dei cosiddetti picchi di crescita: l’organismo cresce in modo molto rapido e spesso disomogeneo, con il tronco che si sviluppa più rapidamente rispetto agli arti. Questa crescita improvvisa può scompaginare l’assetto posturale degli adolescenti e favorire la comparsa di scoliosi.
In questa intervista, la Dott.ssa Paola Maltoni,
fisiatra del Centro di Ortopedia e Fisiatria Pediatrica di Primus Forlì Medical Center, ci illustra alcuni degli aspetti generali della scoliosi idiopatica dell’adolescente e del suo trattamento.
Che cosa si intende per scoliosi?
Il termine scoliosi viene spesso usato in modo generico per indicare diverse situazioni cliniche, tutte caratterizzate da cambiamenti di forma e di posizione nello spazio di torace, colonna vertebrale e tronco. In modo più preciso,
possiamo definire la scoliosi come una deformità tridimensionale della colonna vertebrale, in cui si evidenziano in particolare tre caratteristiche:
- una curvatura della colonna sul piano frontale (la cosiddetta «curva a S»);
- una deformità sul piano laterale (come dorso piatto e cifosi lombare) altamente correlata con l’evoluzione della scoliosi;
- una rotazione del corpo vertebrale sul piano trasverso, che causa il caratteristico gibbo, un segno clinico che può essere valutato e misurato quando il paziente è in flessione anteriore, molto attendibile per valutare l’evoluzione della scoliosi nel tempo.
In che cosa consiste la scoliosi idiopatica dell’adolescente?
La scoliosi idiopatica dell’adolescente, che insorge generalmente nel periodo della pubertà, è la forma più comune di scoliosi, riscontrata nell’80% dei casi. Il termine «idiopatica» sottolinea che la causa di questa forma di scoliosi è
sconosciuta, anche se probabilmente esistono fattori genetici che predispongono alla sua comparsa.
Il restante 20% dei casi è invece dovuto a scoliosi congenite, già presenti alla nascita e causate generalmente da deformità dei corpi vertebrali, e a scoliosi secondarie, che sono forme piuttosto rare associate ad altre patologie, come sindromi malformative complesse, neurofibromatosi, sindrome di Marfan, ecc.
Quali elementi contribuiscono alla diagnosi di scoliosi idiopatica dell’adolescente?
Poiché le cause possibili che concorrono al rischio evolutivo di scoliosi sono molteplici, la diagnosi è sempre multifattoriale. Oltre alla valutazione clinica del paziente è importante l’indagine radiografica, che permette di stabilire il cosiddetto
angolo di Cobb, una misura che esprime il grado di curvatura della colonna vertebrale. Il valore limite per la diagnosi di scoliosi è un angolo di Cobb superiore ai 10°; valori inferiori dell’angolo di Cobb corrispondono in genere ad «atteggiamenti» e non a scoliosi strutturali.
Tuttavia, questa misurazione non basta di per sé a dare una diagnosi e anche angoli di Cobb inferiori ai 10° devono sempre essere considerati nel contesto di vita di ciascun paziente e della sua condizione clinica.
Un altro fattore fondamentale è il momento in cui avviene la diagnosi: a seconda del periodo di sviluppo in cui si trova il paziente, la deformazione della colonna potrà seguire un’evoluzione più o meno rapida. «
La dimensione temporale è sempre fondamentale per una presa in carico del paziente che sia corretta, efficace e di successo: una curva di 12°, poco al di sopra la definizione di scoliosi vera, se associata ad altri fattori di rischio (dorso piatto, cifosi lombare, iperlassità legamentosa, scarsa riducibilità) e alla fase iniziale di sviluppo puberale, individua un paziente con un rischio evolutivo della curva estremamente elevato. Questi casi vanno valutati con grande attenzione e possono richiedere tempi di follow-up molto ravvicinati, anche ogni 3-4 mesi, per monitorare l’evoluzione della scoliosi. Lo stesso valore della curva in una ragazza di 20 anni, che quindi ha già concluso lo sviluppo puberale ed è arrivata alla maturità scheletrica, non è preoccupante e non richiede tempi di controllo ravvicinati o un trattamento intensivo».
L’approccio più vincente è quindi quello che unisce la valutazione clinica e radiografica al monitoraggio del paziente nel tempo.
È possibile prevenire la scoliosi idiopatica?
Le cause della scoliosi idiopatica dell’adolescente sono sconosciute: per questo non è possibile mettere in atto misure preventive mirate. Esistono però alcuni elementi che si possono tenere a mente per accorgersi precocemente di problemi alla colonna.
La valutazione della scoliosi si caratterizza per tre fattori chiave, tra loro inscindibili.
- Tempo: in età evolutiva il rischio è più elevato, in particolare in corrispondenza dei cosiddetti picchi di crescita a 24-36 mesi (in cui possono comparire le scoliosi infantili), a 5-8 anni (scoliosi giovanili) e 11-13 anni (scoliosi dell’adolescente).
- Familiarità: anche se non è stato dimostrato in modo definitivo, sembra che la scoliosi idiopatica dell’adolescente abbia una componente genetica; è quindi importante sapere se esistono altri casi documentati in famiglia.
- Clinica: la comparsa del gibbo (visibile quando la persona è in flessione anteriore di tronco) o la presenza di dorso piatto sono alcune delle manifestazioni cliniche che segnalano un problema alla colonna.
In questi casi, è importante rivolgersi al pediatra che, dopo una valutazione preliminare, può indirizzare i pazienti allo specialista fisiatra.
Nella scoliosi, quindi, il limite tra prevenire e trattare non esiste: «
Quello a cui si mira è la prevenzione del peggioramento: il primo obiettivo è infatti quello di stabilizzare e fermare l’evoluzione della curva, facendo una valutazione complessiva della condizione clinica dell’utente nel suo contesto di vita: da questo emerge il modo migliore per prevenire il peggioramento».
Come viene impostato il trattamento della scoliosi idiopatica?
Parlando di trattamento della scoliosi non bisogna dimenticare che le indicazioni terapeutiche non possono essere mai generali, ma devono essere orientate al paziente e alla sua famiglia: «
da trattare non è la scoliosi, ma il paziente che ha quella scoliosi, tenendo sempre in considerazione fattori come la familiarità e il contesto di vita del paziente specifico».
Dopo la prima valutazione, il fisiatra può indirizzare il paziente verso diversi percorsi terapeutici.
Il primo passo è il trattamento riabilitativo personalizzato: «
il fisiatra definisce un vero e proprio progetto riabilitativo, specifico per il paziente, tenendo conto di tutti i dati emersi dalla valutazione clinica e funzionale, come la presenza del gibbo e del dorso piatto. Al paziente vanno consigliati gli esercizi adatti alla sua situazione specifica e compatibili con la sua situazione clinica».
Il trattamento riabilitativo comprende, per esempio, esercizi di rieducazione posturale, di coscientizzazione della respirazione, di apprendimento dell’autocorrezione, di stabilizzazione del corpo muscolare, di controllo propriocettivo o di correzione dell’assetto sul piano sagittale.
Un altro importante strumento terapeutico è il corsetto: «
è utile per contenere l’evoluzione della scoliosi e deve essere usato abbinato al trattamento riabilitativo, per facilitare e guidare la corretta esecuzione degli esercizi e per rinforzare gli obiettivi dell’esercizio stesso».
Sulla base delle caratteristiche cliniche della curva della colonna, il fisiatra consiglia il tipo di corsetto più adatto, che può essere rigido o semirigido, da indossare solo di notte oppure per più ore, fino a 21-23 ore al giorno.
Il trattamento della scoliosi può prevedere anche l’intervento chirurgico, che tuttavia è richiesto solo in una percentuale minima dei casi e in presenza di un elevato rischio evolutivo della patologia.
Quali elementi sono fondamentali per impostare un trattamento di successo?
L’obiettivo complessivo del trattamento è quello di mantenere la scoliosi a fine crescita sotto i 30° di Cobb, per garantire al paziente la migliore qualità di vita possibile anche da adulto.
«Sopra i 30°, le scoliosi tendono a peggiorare anche nell’adulto di circa 1-2 gradi ogni 1-3 anni e gli effetti si fanno più invalidanti nell’adulto, in particolare dopo la menopausa e l’andropausa, quando compaiono altri problemi legati all’invecchiamento. Arrivare a questo stadio con una scoliosi sopra o sotto i 30° può fare una grande differenza per il paziente».
Nel trattamento della scoliosi uno degli aspetti più importanti riguarda inoltre il rapporto di collaborazione e fiducia che si instaura tra fisiatra, paziente e famiglia del paziente. «
È importante garantire la presa in carico completa della persona e stabilire un rapporto di fiducia che faccia capire che il paziente sarà seguito passo dopo passo in questo percorso. È fondamentale comunicare alla famiglia e al bambino quali problemi si possono sviluppare nel tempo, quali sono gli obiettivi del trattamento e perché è tanto importante stabilizzare la malattia e arrivare alla fine della maturità scheletrica con una curva sotto i 30° di Cobb».
Questo rapporto di fiducia si costruisce grazie alla collaborazione tra tutte le figure coinvolte. Il paziente e la sua famiglia saranno accompagnati per tutto il trattamento dal fisiatra, dal fisioterapista e dal tecnico ortopedico incaricato di costruire il corsetto, nei casi in cui sia necessario: «
si tratta di un lavoro comune con obiettivi comuni, che accompagna il paziente lungo tutto il percorso».